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Non parliamo di ecologia ma di stampa: da qualche anno, sugli stampati in quadricromia, l’oro è sempre più verde.
Secondo me capita perché l’improvvisazione dilaga e gli operatori, ignorando che la formulazione in quadricromia di un colore che simuli l’oro dovrebbe avere valori tipo 10/20% di cyan + 30/50% di magenta + 65/85% di giallo (dove le variazioni all’interno dei range indicati rendono tinte tra l’oro e il bronzo), e si affidano ai mai troppo biasimati “pantoni” senza badare alla loro reale composizione/scomposizione: essendo tinte piatte, presentate sui ventagli o sulle pagine dei reference book tramite la stampa di un inchiostro “di quel colore”, sono veritieri solo se replicati con lo stesso inchiostro, mentre la loro simulazione in quadricromia, fortemente caratterizzata da nero e giallo, restituisce in stampa tonalità sempre tendenti al verde… simili solo ai bronzi opachi e “ammuffiti” dei caratteri ossidati che celebrano i morti, sulle vecchie lapidi dei cimiteri.
Infine, oltre alle basi di ottica e matematica di cui noto una grande carenza nelle nuove leve della stampa, credo andrebbe loro spiegato quel che era uno dei cavalli di battaglia del mio maestro di scansione (quando per qualche anno ho lavorato con scanner ottici a fotomoltiplicatori, i cosiddetti “scanner a tamburo”) ovvero che, pur nella continua tendenza all’omogeneizzazione, ci sono sempre enormi differenze di percezione del colore a seconda della luce in cui viviamo, e quindi c’è parecchia differenza tra quel che “vediamo” io a Gavi, Italia e un collega a Houston, Texas… o ovunque altro nel mondo, così pure come ci sono notevoli differenze tra i “sistemi colore” con cui si stampa (Euroscale piuttosto che Swop, ad esempio).
Se invece che di simulazione di tinte piatte, prendiamo in considerazione la riproduzione di immagini fotografiche, la situazione non è molto diversa.
In questo caso il nuovo approccio alla selezione in quadricromia, credo sia invece da riferire all’utilizzo ormai esclusivo delle camere digitali e, di conseguenza, agli algoritmi utilizzati per la gestione digitale del colore che, anche quando ben gestiti da chi opera sui successivi passaggi del file, privilegiano l’uso di nero e giallo tendono sempre a virare i toni dell’oro a discapito di quella “neutralità” che invece si otterrebbe con una accurata regolazione dei canali cyan e magenta.
Per ovviare a tutto ciò, ed anche per migliorare i risultati cromatici delle stampe in genere, la soluzione credo stia esclusivamente nel perseguire una maggior preparazione degli operatori su profili colore e intenti oltre che su metodi e tecniche di riproduzione, ripartendo dai fondamentali della fisica che, in teoria, dovremmo apprendere già alle medie inferiori (come era ad esempio un paio di decenni fa).